C’erano una volta i tatuaggi “cattivi”, fenomeno di nicchia, segni da svelare liberamente solo a pochi: erano i tatuaggi dei carcerati, del legionari, dei lupi di mare, degli affiliati a sette segrete, degli avventurieri dell’Estremo Oriente. Poi ne è arrivato lo sdoganamento e oggi i tatuaggi sono diventati “body art”, ornamenti audaci, capricci all’insegna del “mi piace”. In tutti i casi parallelamente alla pratica del tatuaggio è sempre emerso il problema della loro non facile eliminazione e l’attuale ampia diffusione di questa pratica ne rende sempre più frequente la richiesta. Oggi, tutti lo sappiamo, la tecnologia LASER è in grado di dare molte risposte a questo problema, ma questo non significa che il medico estetico che intenda cimentarsi con questa tematica possa considerare assolto il proprio compito limitandosi a passare il manipolo di un costoso strumento sui segni non più desiderati.
La microparcellizzazione dei pigmenti, da parte della radiazione ottica, che ne consente la mobilizzazione ad opera dei macrofagi, non determina una reale eliminazione dei pigmenti stessi dall’organismo. Un’eventuale reazione allergica determinata da alcuni componenti dei pigmenti non ne vede risolta la causa. Sono descritti vari casi di migrazione dei pigmenti alle stazioni linfonodali regionali, con il rischio di confondere clinicament un innocuo infarcimento linfonodale da pigmenti con una patologia oncologica. Il “fantasma” del tatuaggio può vanificare l’obiettivo del paziente di cancellarne anche il ricordo. I colori più fantasiosi non sono in grado di entrare in risonanza con la radiazione LASER e quindi non ne vengono attaccati. Di tutte queste problematiche il medico estetico deve essere ben consapevole e deve assolutamente illustrare al paziente tutte le criticità del caso, anche per scongiurare sgradevoli rivendicazioni anche medico-legali.
Pratica psicologicamente parallela a quella del tatuaggio è quella del piercing. Alludo sia alla semplice tradizionale perforazione dei lobi auricolari, sia soprattutto alla pratica ormai recentemente consolidata di perforare ogni parte del corpo, anche le più delicate, per appendervi oggettistica di ogni sorta. Anche in questo caso si tratta di tentativi di affermazione dell’”io” o di semplici capricci all’insegna del “mi piace”. Anche le conseguenze di questa procedura non sono innocenti. Nella mia pratica ambulatoriale ho visto miriadi di lobi bifidi (lobo di Stahl) e, benché più raramente, condriti produttive a carico della scafa auricolare, glossiti e onfaliti purulente, obliterazioni dei dotti galattofori, per non parlare delle non infrequenti difficoltà di rimozione di questi oggettini metallici, quando, per ovvi motivi di sicurezza elettrica, ne impongo la rimozione prima di effettuare una procedura che richieda l’impiego dell’elettrobisturi. In tutte queste situazioni la risposta del clinico è una sola: rimozione dell’oggetto, bonifica dell’eventuale infezione, attesa della risoluzione dell’infiammazione e ricostruzione chirurgica della parte anatomica lesionata, con qualche inevitabile, benché modesto, postumo cicatriziale. Anche in questo caso è indispensabile rendere consapevole il paziente delle criticità del caso.
Angela Faga