Un’approfondita caratterizzazione delle lesioni è cruciale al fine di stabilire il trattamento laser della malformazione capillaro-venosa. Il gold standard nel trattamento delle lesioni vascolari attraverso l’energia luminosa è rappresentato dal dye laser che utilizza rodamina per emettere luce giallo arancio con lunghezza d’onda di 595 nm, capace di colpire selettivamente i vasi lasciando indenni gli strati cutanei in virtù dell’assorbimento da parte dell’emoglobina, bersaglio privilegiato della fototermolisi selettiva di questo laser. Il trattamento di angiomi, teleangectasie e altre lesioni vascolari rappresenta un campo di impiego classico del dye laser. Pier Luca Bencini, direttore scientifico di ICLID, Istituto di Chirurgia e Laser-chirurgia in Dermatologia di Milano, espone approcci sofisticati per la chirurgia laser assistita nel trattamento di quadri complicati dell’angioma piano e in altre applicazioni mediche ed estetiche.
Quale dovrebbe essere la gestione dell’angioma piano in età infantile?
La malformazione capillaro-venosa detta angioma piano o port-wine stain è caratterizzata da alterazioni delle dimensioni e delle connessioni dei plessi capillari e venulari del derma. A differenza dell’emangioma infantile, che regredisce spontaneamente negli anni e con cui può essere confuso dal pediatra in assenza del parere del dermatologo, la tendenza della malformazione capillaro-venosa è un progressivo peggioramento, sia nel colore sia nella struttura. È stato inoltre dimostrato che, nell’adulto, tra la terza e la quarta decade di vita si ha un’evoluzione verso lesioni ispessite e ipertrofiche. Questo significa che, quando ci si trova di fronte a questo tipo di malformazione, la gestione ideale è il trattamento precoce sulla lesione sottile in età infantile, che è rapido e in molti casi risolutivo. Ben diverso, invece, l’esito del trattamento nell’adulto, perché lo spessore e la presenza di eventuali nodularità rendono più difficile assicurare un risultato soddisfacente e definitivo. Per trattamento precoce intendo preferenzialmente entro l’anno di vita, quando il trattamento con dye laser può avvenire in assenza di anestesia. Non si tratta infatti di una procedura molto dolorosa, e poiché la memoria si forma dopo il primo anno di vita il bambino di pochi mesi non memorizza il disagio e affronta le sedute successive senza traumi. Dopo l’anno, invece, i piccoli pazienti tendono a spaventarsi durante la seduta e ad avere un atteggiamento di rifiuto nelle sessioni successive, non si può quindi rinunciare alla sedazione, al fine di evitare che il bambino si muova durante il trattamento.
Quindi è sempre consigliabile indagare le lesioni vascolari in età infantile?
Sì. La lesione va indagata su due fronti. Innanzitutto devono essere escluse malformazioni vascolari più complesse di cui la lesione può essere parte, malformazioni vascolari a carico di organi più profondi o sindromi come la Sturge-Weber, in cui all’angioma piano del volto possono essere associati problemi oculari, meningei o altre patologie vascolari. Oppure la sindrome di Klippel-Trenaunay-Weber (sindrome angio-osteoipertrofica), caratterizzata da malformazione capillaro-venosa dell’arto inferiore a cui si associano fistole arterio-venose che portano a gigantismo dell’arto. È poi necessario indagare la lesione in termini di quadro capillaroscopico. Classicamente si riconoscono due tipi di malformazioni capillaro-venose, con diversa caratterizzazione dal punto di vista della capillaroscopia. Nel primo tipo si osservano dilatazioni a palla dei vasi papillari, molto superficiali. Nel secondo tipo di malformazione, le alterazioni sono a carico del plesso superficiale orizzontale della pelle, più profonde rispetto al primo tipo, con alterazioni emodinamiche maggiori. Quelle di primo tipo sono considerate più facilmente trattabili rispetto a quelle del secondo. In uno studio da me condotto in ICLID, in collaborazione col centro GISED studi epidemiologici e con la clinica dermatologica dell’università di Brescia, pubblicato su Laser in Medical Science, abbiamo identificato un terzo tipo di malformazione, che mostra alcune caratteristiche delle dilatazioni ad anello o lineari tipiche del secondo tipo insieme a dilatazioni a palla tipiche del primo tipo. Questo quadro capillaroscopico si correla in misura statisticamente significativa a port-wine stain di antica data e con una ridotta risposta al trattamento.
Quali ricadute ha sulla terapia l’identificazione di un terzo sottogruppo di malformazioni capillaro-venose?
Il port-wine stain è una lesione dinamica, originata da sangue che circola in vasi anomali, per dilatazione o malformazione, il cui flusso, non lineare ma vorticoso, provoca un danno da pressione idraulica anche al plesso superficiale, con conseguenti alterazioni di tipo aneurismatico, secondarie alla malformazione primitiva. Questo quadro complicato è ciò che, secondo la nostra interpretazione, determina la nodularità o l’ispessimento. Sapere questo è importante proprio ai fini del trattamento. Per una lesione di tipo 1 si procederà con il trattamento standard con dye laser, che invece avrebbe ben scarsi risultati su un port-wine stain complicato del tipo 3. Il problema di trattare una lesione dinamica sta nel flusso che, per l’apporto continuo di sangue, tenderà a raffreddare, riducendo l’efficacia del trattamento laser. Per migliorare il risultato saranno necessari alcuni accorgimenti. È opportuno, per esempio, aumentare le dimensioni dello spot, per avere un irraggiamento più ampio a livello del tessuto interessato, al fine di ridurre il gradiente termico fra l’emoglobina colpita e quella in arrivo col flusso sanguigno. È inoltre preferibile utilizzare impulsi decisamente più brevi, che favoriscono la rottura del vaso per un effetto di espansione termica unito a vibrazioni dovute al repentino innalzamento di temperatura. Questa rottura, fermando il flusso ematico, trasforma l’emoglobina da bersaglio mobile a bersaglio statico, migliorando l’efficacia. Infine è opportuno procedere con una sequenza di brevi impulsi ravvicinati, che aumenta il danno termico alla struttura da trattare e quindi l’efficacia complessiva.
Lei ha studiato tecniche laser diverse per trattare i quadri più complicati di queste lesioni…
Il problema riguarda malformazioni capillaro-venose molto ispessite, soprattutto nell’adulto, meno raggiungibili dal dye laser. Nell’adulto, infatti, alla naturale tendenza della malformazione capillaro-venosa a ispessirsi col tempo, a causa dei fenomeni di flusso sanguigno nei vasi dilatati che la rendono nodulare, si aggiunge lo spessore della cute stessa, ben superiore a quella del bambino per il normale sviluppo del sistema ghiandolare a livello del derma e per la stratificazione dell’epidermide, così succede che la sede del port-wine stain sia profonda rispetto alla capacità di penetrazione del dye laser.
Poiché la lunghezza di estinzione di un certo laser, che rappresenta la sua specifica capacità di penetrazione nel tessuto cutaneo, è correlata alla lunghezza d’onda, l’idea sviluppata da ricercatori statunitensi è stata di capire come avvalersi di un laser con lunghezza d’onda che permettesse una maggiore profondità d’azione. Il candidato è il laser neodimio YAG, che ha una lunghezza d’onda di 1064 nanometri, più penetrante ma ben poco specifico per il vascolare. Per avere efficacia sarebbe necessario aumentare l’energia trasmessa, con notevoli danni cicatriziali conseguenti. È stato però evidenziato che, l’energia emessa dal dye laser, assorbita avidamente dall’ossiemoglobina, trasforma quest’ultima in metaemoglobina, che assorbe bene l’energia del laser neodimio YAG. Questo significa che, dopo un passaggio di dye laser il tessuto vascolare si arricchisce di metaemoglobina diventando più sensibile al laser neodimio YAG, che potrà essere usato a energie molto più basse, risparmiando un danno termico importante alla pelle del paziente a parità di efficacia. Nel nostro studio abbiamo dimostrato che nell’angioma piano con ipertrofia, dell’adulto, qualora il trattamento tradizionale con dye laser non risulti migliorativo, avvalersi dei due diversi laser in sequenza aumenta notevolmente l’efficacia.
Il laser picosecondi è sempre più usato per cancellare i tatuaggi. Quali sono le acquisizioni più recenti in merito agli usi innovativi di questo strumento?
L’idea del laser a picosecondi per la rimozione dei tatuaggi, fino a qualche tempo fa effettuata con il laser q-switched, nasce dall’aver rilevato che le molecole di inchiostro, bersaglio del fascio di luce, hanno un tempo di rilascio termico inferiore ai nanosecondi, che è l’ordine di grandezza della durata dell’impulso del q-switched. Abbassare la durata dell’impulso ai picosecondi permette di essere più selettivi nella distruzione dell’inchiostro e di applicare energie più basse. In realtà, se nelle fasi iniziali poco cambia rispetto al laser q-switched, il picosecondi fa invece la differenza nello schiarimento del cosiddetto ghost, il tatuaggio residuo che costituiva il limite del laser q-switched in questa applicazione.
Un aspetto molto interessante del laser a picosecondi consiste nel provocare a livello del tessuto colpito una alternazione fisico-chimica detta “plasma”, formata da microparticelle. Frazionando il fascio laser a picosecondi, abbiamo ottenuto risultati molto soddisfacenti, in assenza di danni, sul rimodellamento delle cicatrici. In uno studio che abbiamo pubblicato sul Journal of European Academy of Dermatology, abbiamo evidenziato che l’utilizzo frazionato, a bassa energia, del laser a picosecondi può rimodellare le cicatrici attraverso le alterazioni fotomeccaniche, quindi in modo diverso rispetto ai laser frazionati sia ablativi sia non ablativi, che provocano alterazioni di tipo termico. L’effetto frazionato in profondità del picosecondi non distrugge tutto il tessuto, ma permette una rigenerazione della pelle che porta a un notevole miglioramento della texture e dello spessore delle cicatrici. Nella nostra casistica abbiamo osservato che funziona benissimo per tutte le cicatrici avvallate e atrofiche, e anche nelle cicatrici ipertrofiche. Si sta aprendo un mondo negli utilizzi di questo laser, fino a ieri impensabile, che riguarda anche l’ambito dell’estetica e del ringiovanimento.
In ICLID vi avvalete dell’apporto di specialisti di diverse discipline, compreso lo psichiatra: quali sono i vantaggi di questo approccio?
Noi crediamo che la dermatologia coinvolga tutta la persona: il paziente va ascoltato non in funzione solo della patologia d’organo ma nella sua interezza. Collaboriamo con la psichiatra non solo per una accettazione da parte del paziente del percorso terapeutico, ma anche del difetto. Soprattutto in medicina estetica c’è il mito della rincorsa all’eterna giovinezza: noi forniamo risposte al mantenimento di una qualità dignitosa e giovane della pelle, nella misura in cui tutto questo significa anche avere una pelle sana, ma d’altra parte riteniamo fondamentale che la persona impari ad amarsi nelle sue varie fasi, anche nella malattia, anche nel percorso terapeutico e anche nella vecchiaia. La collaborazione con lo psichiatra è quindi fondamentale, ma collaboriamo anche con endocrinologi, anestesisti, urologi ecc. perché la patologia si inserisce in un contesto unico e irripetibile che è la persona umana e la risposta al trattamento o alla terapia è diversa in ognuno, anche se il problema è lo stesso.
Chi è Pier Luca Bencini
Pier Luca Bencini si specializza in Urologia nel 1981 e in Dermatologia e Venereologia nel 1984, dopo la laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Milano. È stato dirigente del Servizio di Dermatologia presso l’Ospedale San Raffaele di Milano fino al 1990. In seguito fonda a Milano l’Istituto di Chirurgia e Laser-chirurgia in Dermatologia (ICLID) che tutt’ora dirige e in cui svolge la sua pratica clinica. La sua attività scientifica si rivolge alla laser-chirurgia applicata alla dermatologia e all’uso di nuove tecnologie in campo dermatologico ed estetico, attestata da circa novanta pubblicazioni su riviste italiane e internazionali. Attivo in diverse società scientifiche tra cui l’Associazione Italiana Dermatologia Ambulatoriale, l’American Academy of Dermatology, la European Laser Society of Dermatology, è socio fondatore della Società Italiana Laser in Dermatologia di cui è stato vicepresidente e socio fondatore e primo presidente dell’Italian Academy of Laser in Dermatology (ILAD), oltre ad essere presidente di Hi-tech Dermatology, un gruppo intersocietario che si occupa degli sviluppi delle alte tecnologie in dermatologia.