Le patologie infiammatorie autoimmuni, come la psoriasi e l’idrosadenite suppurativa, presentano un importante burden clinico a carico dei pazienti, di tipo sia fisico sia psicologico. La loro origine multifattoriale incide sulla complessità della loro gestione, che molto a lungo ha impedito di raggiungere risultati efficaci.
L’introduzione di nuovi farmaci consente oggi di ambire a modificare la storia di malattia, andando ad incidere sui meccanismi pro-infiammatori alla base di queste patologie.
Nella terza giornata del Congresso Internazionale di Dermatologia-ICD, lo scorso 20 giugno, nel corso di un simposio promosso dalla multinazionale biofarmaceutica UCB e moderato dal presidente del Congresso, Giovanni Pellacani, professore ordinario di Dermatologia all’Università di Roma La Sapienza e direttore della UOC di Dermatologia del Policlinico Umberto I, si è approfondito il valore del meccanismo di azione di bimekizumab – un anticorpo monoclonale che inibisce l’azione di due citochine, l’IL-17A e l’IL-17F, che svolgono un ruolo chiave nei processi infiammatori – per comprendere come questo si traduca in outcome clinici.
I meccanismi alla base della psoriasi e gli effetti del bimekizumab
Chris Griffith del NHS, King’s College Hospital e della University of Manchester, Regno Unito, ha ripercorso il meccanismo fisiopatologico della psoriasi, frutto di un mix genetico, ambientale e immunologico che rendono la patologia particolarmente complessa.
L’approvazione dei farmaci biologici nell’ultimo ventennio ha radicalmente modificato la gestione della malattia. In tal senso, l’arrivo, nel 2021, del bimekizumab, un anticorpo monoclonale che inibisce selettivamente sia IL-17A sia IL-17F, ha rappresentato un ulteriore passo avanti, andando ad incidere sui meccanismi pro-infiammatori alla base della psoriasi (e di altre patologie infiammatorie autoimmuni) e delle cellule T presenti nei tessuti, implicate nella cronicizzazione di malattia.
Altresì, ha sottolineato Griffith, l’intervento precoce può modificare la progressione di malattia sia nell’idrosadenite suppurativa sia nella psoriasi, prevenendo danni strutturali irreversibili e garantendo outcome migliori per i pazienti.
I risultati a lungo termine nell’idrosadenite suppurativa
Sulla capacità di bimekizumab di agire sul controllo infiammatorio, migliorando gli outcome dei pazienti, è tornata Eva Vilarrasa, dell’Hospital de la Santa Creu i Sant Pau de Barcelona, Spagna, concentrando il proprio intervento sull’utilizzo del farmaco nell’idrosadenite suppurativa.
Partendo da due trial clinici di fase III identici della durata di 48 settimane sull’uso di bimekizumab in pazienti con idrosadenite di grado moderato-severo – BE HEARD I e II – l’estensione dello studio, BE HEARD EXT ha valutato gli effetti del farmaco fino a 96 settimane, evidenziando, alla settimana 96 che il 63,6% dei pazienti in trattamento con bimekizumab ha riferito assenza di dolore.
Rispetto ad altri farmaci, bimekizumab si è poi mostrato superiore nell’ottenere HiSCR75 (Hidradenitis Suppurativa Clinical Response 75, una misura utilizzata negli studi clinici che indica un miglioramento significativo delle condizioni del paziente), con una riduzione, rispetto al basale, del 75% del numero totale di ascessi e noduli infiammatori.
Villarasa ha sottolineato, inoltre, che un controllo precoce dell’attività infiammatoria nei pazienti con idrosadenite può prevenire la progressione di malattia mentre, più in generale, una durata inferiore della patologia garantisce migliori outcome clinici e un eccellente profilo di sicurezza.
I risultati di uno studio real world condotto in Spagna su 84 pazienti con idrosadenite di grado moderato-severo seguiti per 24 settimane ha mostrato che il trattamento con bimekizumab ha portato ad un significativo miglioramento degli outcome clinici senza eventi avversi rilevanti, con un positivo impatto sulla qualità di vita dei pazienti coinvolti.
L’effetto di bimekizumab in contesti Real World
Maria Angeliki Gkini, del Barts Health NHS Trust del Regno Unito, ha concentrato il proprio intervento sull’utilizzo del bimekizumab nella psoriasi, anche in contesti Real World. Numerosi studi clinici – BE VIVID, BE READY, BE SURE – avevano già evidenziato un’efficacia di bimekizumab superiore ai comparatori, mostrando un’azione rapida ed eccellenti risultati clinici a lungo termine. In particolare, lo studio open-label extension BE BRIGHT ha fatto emergere un rapido raggiungimento del PASI 100, mantenuto per un periodo di 4 anni da oltre il 70% della popolazione in trattamento con bimekizumab, dato confermato su pazienti statunitensi e canadesi fino a 5 anni.
Gli studi clinici hanno confermato anche un solido profilo di sicurezza del farmaco per oltre 4 anni di trattamento. Inoltre, uno studio Real World multicentrico, per sua natura ancora più significativo perché in grado di coinvolgere un campione più variegato e complesso degli RTC, condotto su 237 pazienti con psoriasi a placche di 19 centri italiani, ha messo in luce una ‘complete skin clearance’, ossia una completa pulizia della pelle, raggiunta dal 43,3% del campione alla settimana 4 e dal 75,4% alla settimana 16; altresì, alla settimana 16, ben l’86,8% del campione non aveva segnalato ricadute negative in termini di qualità di vita; l’evento avverso maggiormente riportato è stato la candidosi orale (10,1%); non sono stati registrati eventi avversi o eventi avversi gravi tali da implicare l’interruzione del trattamento.
In conclusione, la relatrice ha evidenziato che il farmaco ha mostrato effetti rapidi, profondi e durevoli, un buon profilo di sicurezza e tollerabilità anche nel contesto Real World.
Fondamentali una diagnosi e un intervento precoce
Alla luce di quanto emerso, Griffith ha sottolineato l’importanza di una corretta e tempestiva diagnosi, sovente tardiva, in quanto il perdurante meccanismo infiammatorio associato alla psoriasi può portare allo sviluppo di comorbidità o al loro peggioramento, rappresentando anche un fattore di rischio per lo sviluppo di artrite psoriasica.
Il messaggio chiave emerso dal simposio è stato dunque che un intervento precoce con bimekizumab garantisce risultati migliori e più protratti nel tempo, contribuendo a cambiare il corso di malattia.



