Articolo recensito: A Review of Existing Therapies for Actinic Keratosis: Current Status and Future Directions. Am J Clin Dermatol. 2022 May;23(3):339-352.

Autori: Del Regno L, Catapano S, Di Stefani A, Cappilli S, Peris K.

Take-home message

La cheratosi attinica (actinic keratosis, AK) è una neoplasia cutanea che si manifesta nella popolazione adulta attraverso la comparsa di lesioni cutanee che, talvolta, possono convertirsi in carcinoma a cellule squamose invasivo (squamous cell carcinoma, SCC). La prevalenza di AK è destinata ad aumentare nel corso dei prossimi decenni e le linee guida europee raccomandano il trattamento di qualsiasi AK, indipendentemente dalla gravità clinica.

È da considerare, inoltre, che i pazienti spesso possono incontrare difficoltà pratiche nell’applicazione adeguata dei trattamenti topici e nella gestione corretta delle reazioni avverse cutanee locali che possono manifestarsi, con una conseguente aderenza al trattamento non ottimale.

Anche lo sviluppo di sintomi cutanei locali associati e i risultati cosmetici dell’area di interesse sono rilevanti per la scelta di una strategia terapeutica appropriata: il trattamento, quindi, dovrebbe essere personalizzato in base alle caratteristiche del paziente e delle lesioni.

L’articolo recensito illustra le evidenze scientifiche che guidano, ad oggi, la gestione clinica dei pazienti affetti da AK e le direzioni future di tali terapie, descrivendo alcuni agenti farmacologici attualmente in fase di sviluppo.

Infine, suggerisce come l’instaurarsi di una comunicazione chiara tra medico e paziente, così come l’uso di documentazione fotografica – tramite cui monitorare l’andamento della terapia di AK – rappresentino due valide strategie tramite le quali poter migliorare gli esiti clinici del trattamento.

Introduzione e scopo

La AK – neoplasia cutanea che si manifesta attraverso lesioni cutanee in corrispondenza delle parti anatomiche esposte al sole – è una patologia che si manifesta tipicamente nella popolazione adulta maschile di età avanzata. Considerando, quindi, l’invecchiamento crescente della popolazione mondiale e l’esposizione cronica al sole nel corso della vita, si prevede che, nel corso dei prossimi decenni, l’onere economico della AK aumenterà in modo sostanziale.

In accordo alla classificazione di Olsen et al., le lesioni da AK possono essere definite come: di grado 1 (macule piatte e rosa; lesioni poco visibili; facili da percepire al tatto e difficili da vedere), di grado 2 (lesioni moderatamente spesse, rosse e squamose; facilmente percepibili e visibili) e di grado 3 (lesioni ipercheratosiche molto spesse che possono essere difficili da differenziare da uno stadio iniziale di carcinoma squamocellulare invasivo [SCC]).

Questo sistema di classificazione, comunemente utilizzato nella pratica clinica, presenta tuttavia diversi limiti e studi recenti hanno dimostrato che non corrisponde accuratamente alla classificazione istologica (la classificazione di Olsen risulta inferiore al grado istologico presunto nel 62.4% dei casi).

Inoltre, Fernández-Figueras e colleghi hanno dimostrato che l’AK, anche nella sua fase iniziale, può progredire in SCC cutaneo invasivo (la cosiddetta “via differenziata”) senza seguire le fasi progressive della neoplasia intraepidermica cheratinocitaria (“via classica”). Questi risultati hanno introdotto il paradigma secondo cui tutte le singole lesioni di AK e il campo di cancerizzazione (FC) dovrebbero essere trattati, poiché l’area circostante potrebbe ospitare alterazioni subcliniche.

L’obiettivo di questa revisione della letteratura è stato quello di esaminare gli approcci terapeutici per la AK, analizzando sia i trattamenti disponibili per un utilizzo domiciliare sia quelli che necessitano di competenza specialistica.

Caratteristiche cliniche e diagnosi

Le tipiche caratteristiche cliniche della AK sono costituite da placche eritematose desquamanti localizzate in aree esposte ai raggi solari (come il capo, il collo, il viso e le estremità superiori) che, nella maggior parte dei casi, si presentano sotto forma di lesioni multiple. Le lesioni sono solitamente asintomatiche, ma possono occasionalmente essere pruriginose o essere causa di una sensazione di bruciore.

La cute circostante alle lesioni – denominata campo di cancerizzazione (cancerization field, FC) – seppur apparentemente sana, è contraddistinta da modificazione genetiche molto simili a quelle osservate nelle lesioni della AK. Le diverse varianti istologiche includono AK atrofica, ipertrofica, acantolitica, pigmentata, lichenoide e bowenoide.

La diagnosi di AK si basa principalmente sull’analisi dell’aspetto clinico, anche se le tecniche di imaging sono utili strumenti diagnostici non invasivi. Tra queste, la dermatoscopia può essere utilizzata per differenziare la AK dal SCC cutaneo invasivo e per diagnosticare le lesioni in fase iniziale. Inoltre, la microscopia confocale a riflettanza e la tomografia a coerenza ottica ad alta definizione possono consentire l’individuazione di lesioni subcliniche clinicamente invisibili e il monitoraggio dell’efficacia del trattamento.

La biopsia di una lesione sospetta per AK è raccomandata nei casi equivoci in cui la diagnosi differenziale con il carcinoma basocellulare, la malattia di Bowen, l’SCC cutaneo invasivo, il melanoma amelanotico, la lentigo maligna e la cheratosi seborroica superficiale non può essere esclusa con l’esame clinico e le tecniche di imaging.

Gestione della cheratosi attinica

Ad oggi, la cheratosi attinica può essere gestita attraverso diversi trattamenti, ciascuno contraddistinto da un proprio profilo di efficacia e sicurezza. A seconda della grandezza dell’area cutanea a cui sono dirette, le terapie sono classificate come “terapie dirette alla lesione” (cioè trattamenti eseguiti su una singola o pochissime lesioni di AK all’interno della stessa area) o “terapie dirette al campo”, che mirano al FC, cioè alle lesioni clinicamente visibili e a tutta l’area circostante.

La scelta del trattamento è, di norma, personalizzata e dovrebbe basarsi sulle caratteristiche dei pazienti e delle lesioni, in particolare nei pazienti anziani. Questi ultimi, infatti, presentano spesso anche comorbidità come ipertensione, malattie cardiovascolari, diabete e disfunzioni neurologiche che devono essere considerate nella scelta di un trattamento. Inoltre, un aspetto importante da considerare è la capacità del paziente di eseguire un trattamento a domicilio e, in alcune circostanze, sarebbe opportuno coinvolgere il paziente nel processo decisionale del trattamento e fornire un programma educativo per prevenire o ridurre la gravità delle reazioni cutanee locali.

Trattamenti a uso domiciliare

I trattamenti topici ad uso domiciliare per la AK includono imiquimod, 5-FU, diclofenac, piroxicam e tirbanibulina. Questi farmaci hanno meccanismi d’azione, dosaggi e durata di trattamento differenti e il loro utilizzo richiede un’adeguata formazione sia per garantire l’aderenza terapeutica sia per la gestione di eventuali eventi avversi.

Imiquimod
Imiquimod è un agonista del recettore toll-like (TLR)-7 che agisce come modificatore della risposta immunitaria a livello topico e induce un effetto apoptotico diretto sulle cellule tumorali. L’imiquimod è approvato alle concentrazioni del 5%, 3,75% e 2,5% per la AK localizzata sul viso o sul cuoio capelluto in pazienti adulti immunocompetenti. La formulazione al 5% è utilizzata per trattare piccoli gruppi di lesioni di AK in un’area ≤ 25 cm² sul viso e sul cuoio capelluto, con uno schema di trattamento che prevede l’applicazione tre volte a settimana per un ciclo di 4 settimane, seguito da un ulteriore ciclo se la clearance è parziale. Sia la formulazione al 3,75% che quella al 2,5% vengono applicate una volta al giorno per un ciclo di 2 settimane, seguito da 2 settimane di pausa e da un altro ciclo di trattamento di 2 settimane, oppure, in alternativa, una volta al giorno per due periodi di 3 settimane separati da 3 settimane di pausa. Le formulazioni al 3,75% e al 2,5% hanno mostrato significativi vantaggi clinici rispetto all’imiquimod al 5%, in quanto si ottiene un’efficacia simile con effetti collaterali ridotti e una durata di trattamento più breve; inoltre, le formulazioni più basse consentono di trattare un’area più ampia. Gli effetti collaterali più segnalati con l’imiquimod includono prurito, bruciore e dolore nel sito di applicazione. Possono insorgere anche sintomi simil-influenzali, che aumentano in modo dose-dipendente. A causa delle reazioni cutanee locali molto comuni, il trattamento con imiquimod non è raccomandato durante l’estate e non è la prima scelta nei pazienti immunosoppressi.

5-Fluorouracile (5-FU)
Il 5-FU è un analogo della pirimidina che inibisce un particolare enzima (timidilato sintasi) necessario alla sintesi del DNA e alla formazione e funzione del RNA. In commercio, ad oggi, 5-FU è disponibile in diverse formulazioni che possono essere applicate una o due volte al giorno nell’area delle lesioni della AK. Inoltre, di recente, sono state introdotte due nuove formulazioni di 5-FU per il trattamento della AK di grado I-II in pazienti immunocompetenti: la prima, crema al 4% di 5-FU, ha dimostrato una tollerabilità superiore a quella della crema al 5% di 5-FU; la seconda – 0,5% di 5-FU in soluzione con il 10% di acido salicilico – è risultata più efficace del placebo per il trattamento di FC.
Gli effetti collaterali del 5-FU includono infiammazione, dolore, bruciore, formazione di croste ed erosioni, ma raramente questi influenzano l’aderenza del paziente alla terapia.

Diclofenac al 3% in acido ialuronico
Il diclofenac è un farmaco antinfiammatorio non steroideo che blocca l’enzima ciclossigenasi 2, le cui funzioni principali sono la promozione della crescita tumorale, la proliferazione cellulare, l’angiogenesi e l’inibizione dell’apoptosi cellulare. Ad oggi, il diclofenac gel al 3% in acido ialuronico al 2,5% è disponibile in una singola formulazione indicata disponibile per il trattamento della AK su viso e cuoio capelluto. Il regime terapeutico raccomandato, che consiste nell’applicazione due volte al giorno per 60-90 giorni, fornisce un tasso di risposta di clearance completa del 41% alla fine del trattamento, che aumenta al 58% al follow-up di 30 giorni dopo la terapia. Gli eventi avversi principali associati a tale trattamento includono prurito, eritema, edema localizzato e secchezza cutanea, con una bassa percentuale di pazienti che abbandonano la terapia.

Piroxicam
Il piroxicam è un farmaco antinfiammatorio non steroideo con un meccanismo d’azione simile a quello del diclofenac dato che sopprime importanti proteinasi coinvolte nella crescita tumorale. Una formulazione topica contenente piroxicam allo 0,8% e una protezione solare ad ampio spettro, applicata due volte al giorno per 6 mesi, si dimostra in grado di indurre un miglioramento significativo della AK. Gli eventi avversi sono limitati all’irritazione locale.

Tirbanibulina
La tirbanibulina è un inibitore competitivo della Src chinasi che blocca la polimerizzazione della tubulina nelle cellule in divisione attiva. Diversi studi clinici hanno analizzato l’uso di tirbanibulina per il trattamento topico della AK e di FC di volto e cuoio capelluto: alla luce dei risultati ottenuti, l’uso di questo trattamento è stato ufficialmente approvato da FDA per il trattamento topico di AK e FC sul viso o sul cuoio capelluto.

Trattamenti ad uso specialistico

I trattamenti della AK che ricadono in questa categoria comprendono la crioterapia, il peeling chimico e la terapia fotodinamica convenzionale e diurna.

Crioterapia
La crioterapia con azoto liquido è un approccio ampiamente utilizzato per lesioni isolate; viene eseguito in un ambiente ospedaliero senza anestesia ed è generalmente ben tollerato. L’azoto liquido a una temperatura di -196°C viene applicato in uno o tre cicli di congelamento/scongelamento che danneggia le cellule AK attraverso la criolisi, la stasi vascolare e l’apoptosi. Il tasso di eliminazione completa riportato con la criochirurgia varia dal 39% al 76%, ed è stata riportata un’efficacia maggiore quando la criochirurgia è combinata con altri trattamenti topici, come imiquimod crema, 5-FU crema allo 0,5% o al 5%, 5-FU-SA, diclofenac al 3% in acido ialuronico al 2,5% e PDT. Dolore lieve, bruciore, eritema e vesciche sono gli effetti collaterali più comuni che possono comparire durante il trattamento.

Terapia fotodinamica
La terapia fotodinamica (photodynamic therapy, PDT) rappresenta una procedura minimamente invasiva che – mediante l’uso di agenti fotosensibilizzanti che si accumulano nei cheratinociti epidermici atipici – esercita un effetto citotossico selettivo alle cellule neoplastiche. La PDT convenzionale (c-PDT) è un’opzione terapeutica efficace per il trattamento del FC e la “daylight” PDT (dl-PDT), che consiste nell’applicazione di un fotosensibilizzante seguita dall’esposizione alla luce del giorno per 2 ore, ha dimostrato fornire benefici clinici simili a quelli osservati con la c-PDT. L’uso di dl-PDT ha dimostrato elevati tassi di clearance, efficacia a lungo termine e dei bassi tassi di recidiva: tuttavia, deve essere considerato che l’utilizzo della luce diurna come fonte di irradiazione non è possibile in presenza di specifiche condizioni ambientali (ad esempio, zone con basse temperature o pioggia). I più comuni eventi avversi associati a PDT – reazioni cutanee locali come eritema, dolore, bruciore, edema, prurito, desquamazione e sviluppo di pustole – si osservano comunemente durante l’irradiazione e nelle ore/giorni immediatamente successivi alla terapia mentre, invece, orticaria, dermatite da contatto nel sito di applicazione e dermatosi pustolosa erosiva rappresentano gli eventi avversi più rari.

Peeling chimici
I peeling chimici rappresentano una categoria di terapie indicate per il trattamento di lesioni multiple o raggruppate e di FC. L’uso di acido tricloroacetico (TCA) più soluzione di Jessner ha mostrato un tasso di guarigione completa minore rispetto alla monoterapia con 5-FU 5% crema, mentre la combinazione di 5-FU 5% e acido glicolico 70% ha un’efficacia significativamente più elevata rispetto alla monoterapia con acido glicolico 70%.

Terapia laser
Le terapie laser svolgono un ruolo nel trattamento di singole lesioni della AK e di FC, in quanto rimuovono l’epidermide e il derma papillare contenenti danni attinici inducendo, quindi, un resurfacing cutaneo su tutto il viso. I dati della letteratura suggeriscono che il resurfacing con laser è meno efficace della PDT e altrettanto efficace del 5-FU e del TCA al 30%. Il tasso di risposta al trattamento è di circa il 90% e il tasso di recidiva a 6 mesi è del 10-15%. I limiti del trattamento sono legati al costo e alle possibili reazioni cutanee locali, oltre al dolore, all’infiammazione, alle alterazioni pigmentarie e al ritardo nella guarigione della pelle. Il trattamento con laser può essere combinato con altre terapie per ottenere una maggiore efficacia.

Chirurgia
Come riportato dagli autori dell’articolo qui riassunto, l’escissione chirurgica o la biopsia della AK dovrebbero sempre essere prese in considerazione nei casi di incertezza diagnostica o di lesioni resistenti al trattamento. In questi casi, l’esame istologico può essere utile per escludere un SCC cutaneo invasivo incipiente, e si dovrebbe preferire un’escissione chirurgica per includere gli strati cutanei profondi per verificare la presenza di invasione dermica.

Terapie combinate
È stato anche studiato l’uso sequenziale di diversi agenti o procedure per incrementare l’efficacia e possibilmente ridurre gli effetti collaterali. Tuttavia, il trattamento combinato può portare a procedure più complicate che non sono sempre facilmente accettate o comprese dai pazienti, e ad una probabilità minore di aderenza al trattamento. Un approccio interessante, tramite cui poter gestire le AK più difficili da trattare, pare essere rappresentato dalla combinazione di un agente topico, da utilizzarsi nella fase di trattamento iniziale, con la criochirurgia. Tuttavia, ad oggi, nessuno studio ha analizzato gli effetti benefici associati a questa combinazione di terapie.

Studi recenti e sperimentazioni cliniche in corso con trattamenti topici

Al fine di aumentare il tasso di clearance e ridurre gli eventi avversi locali rispetto agli attuali trattamenti della AK, ad oggi, numerosi nuovi agenti sono in fase di sviluppo.

Resiquimod
Resiquimod è un modificatore topico della risposta immunitaria che promuove l’attivazione delle cellule dendritiche mieloidi e delle cellule dendritiche plasmacitoidi. Sulla base del suo profilo farmacodinamico, questo farmaco raggiunge una potenza da 10 a 100 volte superiore rispetto all’imiquimod per il trattamento dell’AK. Ad oggi, sono state analizzate quattro diverse concentrazioni di resiquimod gel (0,01%, 0,03%, 0,06% e 0,1%) in uno studio di fase II: i dati ottenuti hanno dimostrato che, in tutti i gruppi di studio, è stato riportato un elevato tasso di efficacia, con effetti collaterali osservati solo alle concentrazioni più elevate.

Dobesilato di potassio
Il dobesilato di potassio è un agente stabilizzante endoteliale che agisce sull’inibizione del fattore di crescita endoteliale vascolare e del fattore di crescita dei fibroblasti. I risultati di uno studio clinico di fase II che valutava l’efficacia e la sicurezza, completato nel 2018, non sono mai stati resi noti: di conseguenza, non è chiaro se questo farmaco sia ad oggi ancora in fase di sviluppo per la AK.

Acido betulinico
L’acido betulinico ha mostrato effetti antitumorali attraverso l’induzione della morte cellulare per via apoptotica e l’attività antiangiogenica. Tuttavia, uno studio multicentrico controllato che ha valutato l’efficacia e la tollerabilità dell’acido betulinico non ha dimostrato la superiorità del trattamento rispetto al placebo.

Paclitaxel
Il paclitaxel è un antagonista della beta tubulina (classe I) che ha come bersaglio le cellule in rapida proliferazione e in divisione attiva. I dati relativi alla sicurezza, tollerabilità ed efficacia raccolti nel corso di uno studio di fase II, randomizzato e in doppio cieco, non sono ancora oggi stati pubblicati.

Celecoxib
Celecoxib è un antinfiammatorio non steroideo. Come riportato dagli autori, tuttavia, la sua utilità clinica non è ancora nota.

Idrossido di potassio
L’efficacia e la tollerabilità associate all’uso di questo agente cheratolitico sono attualmente oggetto di valutazione nel corso di uno studio di fase III attualmente ancora ongoing.

Discussioni

Quanto discusso dagli autori evidenzia l’importanza di considerare una serie di fattori – tra cui la durata del trattamento, il risultato cosmetico, la compliance del paziente, le reazioni avverse locali – nel momento in cui si sceglie l’approccio terapeutico da utilizzare. Questo, indirettamente, richiede che vi sia una comunicazione chiara tra medico e paziente, mirata non solo ad enfatizzare l’importanza di proseguire la terapia nel corso del tempo ma, anche, a permettere al paziente di comprendere appieno come interpretare le reazioni cutanee locali al trattamento – che, con alcuni farmaci (come l’imiquimod), possono risultare piuttosto ambigue. Ad ogni modo, per documentare il beneficio clinico e gli eventi avversi locali, soprattutto nel caso di una terapia domiciliare, gli autori suggeriscono l’uso di una documentazione fotografica al basale e durante il trattamento.

Infine, gli autori sottolineano che lo sviluppo delle nuove opzioni terapeutiche è orientato verso un trattamento personalizzato, che tenga conto delle caratteristiche dei pazienti e delle lesioni, nonché delle basi genetiche e del rischio individuale di sviluppare un SCC cutaneo invasivo.

PubMed link: https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/35182332/

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