L’ autunno non è più l’epoca privilegiata dei congressi delle Società scientifiche: in un susseguirsi di proposte in cui non è facile orientarsi, spesso la scelta del medico è motivata più dalla località (turistica o sottocasa) e dalla necessità di concludere l’adempimento degli obblighi ECM che dal senso di appartenenza al gruppo cui è iscritto. Peraltro, come noto, l’organizzazione di un congresso è impegno gravoso e con ricadute economiche non indifferenti e, a fronte dell’indiscussa necessità di un bilancio di chiusura positivo, le Società organizzatrici sono piuttosto generose nel concedere l’iscrizione all’evento congressuale anche ai non-soci.
Cercando di approfondire il tema di questo editoriale, ho scoperto che nel 2004 un decreto del Ministero della Salute aveva tentato di regolamentare il pullulare di sigle e nomi, descrivendo quali requisiti dovessero possedere le società scientifiche e le associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie, riconoscendo loro il ruolo di “garanti non solo della solidità delle basi scientifiche degli eventi formativi, ma anche della qualità pedagogica e della loro efficacia”. La Consulta aveva però bocciato il decreto, per cui a oggi non esiste un censimento o un registro che certifichi le Società scientifiche che operano in Italia: solo con riferimento alla medicina estetica ne ho contate almeno 13.
Spesso dietro alcune sigle si nascondono pochi iscritti, nessuna attività scientifica, mentre compito specifico delle Società scientifiche dovrebbe essere la promozione della ricerca, oltre che la divulgazione delle conoscenze. Particolarmente delicato è il ruolo delle Società laddove fungono da interlocutori privilegiati con le istituzioni pubbliche: basti pensare che, riguardo alla responsabilità professionale, è affidata alle Società scientifiche la definizione di buone pratiche e linee guida cui i medici dovrebbero attenersi per evitare azioni di responsabilità.
Delle Società scientifiche si è occupata anche la potentissima ANVUR (Agenzia nazionale per la valutazione dell’Università e della Ricerca), laddove ha deliberato di consultare “laddove appropriato” le Società scientifiche nazionali che presentino specifiche caratteristiche di qualità, tra cui la presenza, tra gli iscritti, di una percentuale di ricercatori e docenti universitari che oscilla, a seconda dei casi, tra il 15 e il 45 %.
Purtroppo non infrequentemente al tavolo di consultazione del Ministero della Salute non siedono solo i rappresentanti di società altamente qualificate.
Talora i giovani specializzandi mi chiedono: “Perché devo iscrivermi a una Società? Che vantaggio ne ho? Qual è la migliore?”. Penso che in questa giungla un primo buon metodo per orientarsi e scegliere sia fare riferimento alle Società iscritte alla FISM, Federazione delle Società medico-scientifiche italiane, che richiede il possesso di alcuni requisiti riguardo all’attività (i congressi e le pubblicazioni), al bilancio (deve essere trasparente e riportare tutte le voci), al numero dei soci (congruo). Penso inoltre che, in considerazione del ruolo istituzionale di tali organismi, gli iscritti dovrebbero occuparsi attivamente della vita della Società di appartenenza con regolarità e non soltanto in occasione dell’evento congressuale.
Angela Faga