Malattie croniche autoimmuni: controllare l’infiammazione

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La schiera dei farmaci biologici si amplia a nuovi principi e a nuove indicazioni con maggiori possibilità di controllare patologie che beneficiano dell’integrazione di diverse terapie con l’attenzione a sani stili di vita.

L’idrosadenite suppurativa è una patologia estremamente invalidante ancora poco conosciuta fuori dall’ambito strettamente dermatologico e, per questo, spesso diagnosticata tardivamente. Il controllo delle forme più gravi trova da pochi anni una prospettiva terapeutica nell’adalimumab, un anti-TNF-alfa, già in uso in altre malattie infiammatorie croniche autoimmuni. Degli approcci all’idrosadenite ci parla Ketty Peris, professore ordinario di Dermatologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e direttore dell’Unità Operativa Complessa di Dermatologia del Policlinico Gemelli, dove per questa patologia ha avviato un ambulatorio dedicato. Attiva in diversi campi della ricerca dermatologica, ha contribuito alla pubblicazione di recenti Linee Guida sul carcinoma basocellulare, che presentiamo su Dermakos.it.

Come vengono utilizzati gli anti-TNF-alfa nell’idrosadenite suppurativa?
Adalimumab, che già da anni usiamo per la psoriasi, da qualche tempo è stato approvato per l’indicazione nell’idrosadenite suppurativa, una malattia cronica che colpisce le sedi cutanee ricche di ghiandole apocrine. Si tratta di una terapia in grado di controllare efficacemente il processo infiammatorio alla base di questa patologia, migliorando molto le condizioni dei pazienti, anche perché può essere protratta nel tempo e ne abbiamo una vasta esperienza d’uso. Proprio in virtù di questa conoscenza, sappiamo che adalimumab può essere combinato con altre terapie, sia mediche, come gli antibiotici o i retinoidi, sia chirurgiche. Embricare le diverse terapie, infatti, ci consente di avere un miglior controllo delle forme complicate della patologia.

È utilizzabile in tutti i pazienti?
Anche nell’idrosadenite, il farmaco biologico dovrebbe essere usato nelle forme moderate e gravi. L’utilizzo è consentito anche negli adolescenti e questo è molto importante perché è una patologia che si riscontra nei giovani. Abbiamo notato che, come succede anche per la psoriasi, è preferibile avviare il prima possibile la terapia, evitando di lasciare che le condizioni del paziente si aggravino. Questo è un aspetto cruciale: per quanto ancora non ci siano studi che dimostrino che l’utilizzo precoce di adalimumab impedisca la progressione della malattia, sappiamo che quanto più il paziente si aggrava tanto più difficile risulta poi la gestione delle manifestazioni della patologia.
L’idrosadenite è peraltro scarsamente riconosciuta: i pazienti che non sono stati inviati tempestivamente al dermatologo arrivano da noi con le diagnosi più disparate e spesso dopo diversi tentativi di terapie non sempre appropriate. Nell’ambulatorio del Gemelli, in poco tempo siamo arrivati a gestire 200 pazienti, inclusi quelli affetti da forme lievi. Su queste ultime, e nelle fasi iniziali, si ricorre alla terapia antibiotica tradizionale, che combina per via orale clindamicina e rifampicina, da prolungarsi per mesi al fine del controllo dei sintomi. In realtà la patologia è infiammatoria, e la componente infettiva è dovuta a sovrainfezioni. Quando le fasi iniziali sono costituite da piccoli noduli, la gestione può avvenire efficacemente anche con antisettici e antibiotici topici.

Ketty Peris

E quando il quadro peggiora?
Alla combinazione di antibiotici sistemici si associano i retinoidi e tra questi preferibilmente la tretinoina. In relazione al tipo di lesioni, si ricorre anche alla chirurgia, con asportazioni chiurgiche ampie o il deroofing. Il passo successivo, da poco tempo, è appunto il farmaco biologico, che ha aperto finalmente una prospettiva terapeutica per questi pazienti. Anche in queste fasi, comunque, si procede a cicli, combinando le diverse terapie farmacologiche e chirurgiche, a seconda dei casi. Il controllo sullo stato infiammatorio, infatti, è fondamentale e difficilmente lo si consegue a mezzo di un solo farmaco.

Come affrontare le comorbilità dell’idrosadenite?
Non sono di facile gestione. Una serie di comorbilità sono legate alla sfera psicologica: stati di ansia e depressione sono comuni, in parte legati alla condizione in cui il paziente viene a trovarsi a causa della patologia e in parte dovuti a tratti della personalità frequenti in questi pazienti, come l’alessitimia. Ci sono inoltre comorbilità a carico del metabolismo come obesità o sovrappeso, mentre per il diabete, pur ricorrente, ancora non è stata evidenziata una correlazione certa con l’idrosadenite. A differenza che nella psoriasi, non si hanno evidenze di patologie contestuali di tipo cardiovascolare, anche se l’ipertensione è frequente. Ad oggi non abbiamo dati basati sull’evidenza che trattando un paziente per l’idrosadenite si possa influire anche sulle comorbilità. Una caratteristica ricorrente in questi pazienti è la propensione ad essere forti fumatori. Il tabagismo è un fattore che tende a peggiorare il quadro e nella pratica clinica si osserva in modo evidente: per quanto ancora non si abbiano studi a dimostrazione che smettere o ridurre il fumo possa influire sul decorso della patologia, i quadri più complicati, con tendenza alla recidiva, sono più frequenti nei fumatori. Non è noto altresì il meccanismo con cui il fumo influenzi la patologia, anche se si può intuire che lo stato infiammatorio possa peggiorare per le conseguenze del fumo e l’assunzione di nicotina. Servirebbe maggiore attenzione su questo problema ma, purtroppo, questi pazienti non sono sempre facilmente riportabili a comportamenti di cura di sé e risulta difficile convincerli ad abbandonare le sigarette. Analogamente, possono essere poco collaborativi quando si prova a trattare l’obesità, altro fattore peggiorativo. Sappiamo infatti che il tessuto adiposo tende a produrre citochine pro-infiammatorie che esplicano certamente un ruolo nella patologia. La dieta, pur auspicabile, va proposta con cautela, quando si è instaurato un solido rapporto di fiducia col paziente, perché altrimenti si corre il rischio che ponendo troppi paletti questi se ne vada, perdendo di fatto l’opportunità di migliorare. Sono pazienti che vanno soprattutto coinvolti, nei modi e nei tempi adeguati per ottenere la maggior compliance possibile. Abbiamo avuto, negli anni, lo stesso problema con i pazienti affetti da psoriasi e nel tempo la situazione è migliorata perché si è diffusa una più ampia cultura sulla patologia.

Uno studio da lei seguito ha definito una scala per valutare la qualità della vita dei pazienti affetti da idrosadenite: come funziona?
Coinvolgendo diversi centri Italiani specializzati sull’idrosadenite, abbiamo elaborato Hidra Disk, una scala di valutazione di come e quanto la patologia impatta sulla qualità della vita dei pazienti. È una scala di semplice utilizzo ma significativa. Si tratta di un disco suddiviso in 10 spicchi ciascuno indicante un aspetto della vita del paziente potenzialmente influenzato dall’idrosadenite: dalle condizioni generali di benessere, al dolore, fino al lavoro, alla vita sessuale, alla socialità. Ciascun aspetto è valutabile secondo una scala da 1 a 10 e il punteggio trova posto nello schema con un punto che, insieme ai punti corrispondenti alle valutazioni di tutti gli altri aspetti, va a creare un poligono la cui area è tanto maggiore quanto più è elevato l’impatto sulla quotidianità del paziente. Ripetendo il test nel corso della terapia, si può avere una valutazione visuale della sua efficacia nel migliorare i diversi aspetti della vita del paziente semplicemente confrontando la forma e la dimensione delle figure ottenute. È uno strumento semplice, che sta evidenziando la sua utilità nei centri in cui è stato adottato, anche nell’indirizzare la terapia.

Considerando la psoriasi, si moltiplica la disponibilità di farmaci biologici. Il Gemelli ha partecipato al trial di fase III sul nuovo bimekizumab: cosa avete riscontrato?
Come già secukinumab e ixekizumab, anche bimekizumab è un farmaco anti-interleuchina 17. I linfociti T-helper 17 hanno infatti un ruolo patogenetico importante nella psoriasi. I nuovi farmaci biologici sono stati studiati proprio in relazione ai meccanismi patogenetici specifici della psoriasi, sono quindi molecole molto più selettive rispetto ai precedenti anti-TNF. Nel folto gruppo degli anti IL-17, i diversi farmaci intervengono in modo diverso sul recettore, ampliando le possibilità di trovare quello efficace per i diversi pazienti. Avremo a breve anche il gruppo di farmaci anti IL-23, che negli studi clinici hanno dato risultati stupefacenti in tempi molto brevi e con buoni profili di sicurezza. Ancora per questi nuovi farmaci non disponiamo di dati a lunghissimo termine, ma in base all’esperienza, ci attendiamo che gli effetti siano mantenuti nel tempo. Tutti questi principi si stanno dimostrando efficaci anche sulla forma artropatica della psoriasi. I biologici hanno poi l’ulteriore vantaggio che, dopo la fase iniziale di induzione, la somministrazione avviene ogni 8-12 settimane, con grande agio per il paziente rispetto al passato.
I farmaci che negli ultimi 15 anni sono stati proposti hanno enormemente migliorato il controllo dei sintomi e la qualità della vita dei pazienti colpiti dalle forme più gravi di psoriasi. Il futuro vedrà farmaci costruiti in modo tale da colpire due target diversi contemporaneamente.

Quanto alle forme lievi?
Abbiamo l’obbligo di avvalerci delle terapie tradizionali per contenere i costi a carico del SSN. Sappiamo però che, anche in queste forme, trattare precocemente con i biologici porta a un controllo migliore della patologia, anche se non è dimostrato che la malattia si aggravi nel lungo o lunghissimo periodo, cosa invece certa nel caso dell’artrite psoriasica. Una parte dei pazienti ricorre a terapie non farmacologiche come cure termali o preparati erboristici. Le terme su alcune forme della patologia esercitano comunque un certo controllo ma non abbiamo studi strutturati in tal senso. Per quanto riguarda i prodotti a base di erbe, dobbiamo fare a molta attenzione poiché nel mercato e su internet vengono pubblicizzati e venduti prodotti “naturali” che invece molto spesso si è scoperto essere a base di cortisone. In generale, gli studi ci dicono che la psoriasi rimane una patologia sottotrattata in quasi il 50% dei pazienti.

Lei è stata tra gli organizzatori del Congresso Mondiale di Dermatologia 2019. Come vede il futuro di questa disciplina?
Le tecnologie stanno cambiando il volto della dermatologia aprendo nuove possibilità per i pazienti. Due esempi fra tutti: le tecnologie di imaging e il loro contributo alla diagnosi in dermatologia; e, appunto, le biotecnologie, che sempre più saranno protagoniste nella terapia di patologie fino a ieri difficili da gestire. Davvero stiamo entrando in una nuova era.

CHI E’ KETTY PERIS
Laureatasi in Medicina e Chirurgia nel 1987 presso l’Università La Sapienza di Roma, Ketty Peris consegue la Specializzazione in Dermatologia e Venereologia nell’ateneo dell’Aquila, dove inizia la sua attività di ricercatore e dove, nel 2001, diventa Professore Associato e Direttore della Scuola di Specializzazione in Dermatologia e Venereologia. Dal 2006 è Professore Ordinario di Dermatologia e Venereologia e Direttore della Clinica Dermatologica all’Università dell’Aquila. Nel 2014 il passaggio all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, come Direttore dell’Istituto di Clinica Dermosifilopatica e direttore dell’Unità Operativa Complessa di Dermatologia del Policlinico Gemelli.
I suoi interessi di ricerca, attestati da oltre 200 articoli scientifici e 25 capitoli di libri o monografie, riguardano lo studio dei tumori cutanei, con particolare riferimento a geni e loci cromosomici nella predisposizione genetica al melanoma (familiare o sporadico); aspetti clinico-dermoscopici e di genetica molecolare delle lesioni acrali melanocitarie; aspetti clinico-dermoscopici e molecolari delle neoplasie epiteliali cutanee; patologie immuno-mediate come la psoriasi e la dermatite atopica.