Anche quest’anno alla fine di una lunga, calda e assolata estate siamo ritornati alle nostre attività rilassati e più o meno abbronzati. Per molte persone, soprattutto nei Paesi mediterranei, Italia compresa, è ancora difficile rientrare in città dopo il periodo estivo senza una “sana” tintarella che testimoni quanto si sia stati bene e ci si sia divertiti durante le vacanze. Al contrario, i tedeschi e le popolazioni del Nord Europa, complice forse anche il loro fototipo più chiaro, tendono meno ad esporsi e sono più consapevoli dei danni indotti sulla cute dai raggi UV.
Sul tema della fotoprotezione a oltranza noi medici, e in particolare quelli interessati alla pelle e lettori di questa rivista, ci battiamo da anni, supportati anche dalle aziende del settore che hanno costruito un vero business producendo formulazioni e filtri sempre più sofisticati, efficaci e gradevoli da applicare. Nei recenti congressi dermatologici internazionali e soprattutto al Congresso mondiale di dermatologia tenutosi questa estate a Vancouver, si è addirittura discusso sulla eventuale utilità di introdurre nelle formulazioni solari anche filtri per la quota visibile o infrarossa dello spettro UV, in quanto anche questi causerebbero quello stato di infiammazione cronica persistente responsabile dell’invecchiamento cutaneo. D’altronde sappiamo che la luce UV è fondamentale per la produzione della vitamina D e che molte persone hanno bisogno anche di una supplementazione di questa vitamina per mantenere un ottimale metabolismo calcico.
Studi accurati del National Institutes of Health, pubblicati negli ultimi anni, hanno dimostrato che sarebbe comunque meglio integrare la dieta piuttosto che prendere sole e che comunque persone che si proteggono con filtri solari e magliette con le maniche lunghe e cappelli non hanno in realtà dei deficit nel sangue di vitamina D, supportando quindi la teoria volta a evitare l’esposizione solare e a instaurare una fotoprotezione rigida. Quindi, fino a questa estate eravamo tutti convinti di questo e stavamo trascorrendo le nostre meritate vacanze armati di cappellini e filtri di ogni genere. Ma la medicina non è la matematica e cosa succede proprio nel bel mezzo dell’estate 2015? Il 13 agosto, in una nota rilasciata dalle principali agenzie di stampa degli Stati Uniti, viene comunicato che l’esposizione a un certo grado di luce solare fa bene alla salute di una persona. Questo è quanto pubblicato su The Journal of the American College of Nutrition. Quindi, evitare del tutto i raggi UV, come raccomandato dalle Autorità sanitarie statunitensi, non è utile.
Gli autori della dichiarazione sono scienziati di tutto rispetto di quattro università americane tra cui l’Università della California di San Diego e la Boston University (Massachusetts). Tale dichiarazione offre ampie informazioni sugli effetti benefici dei raggi UV e della vitamina D. In particolare si afferma che “gli esseri umani si sono adattati all’esposizione solare nel corso di diverse migliaia di anni e traggono numerosi benefici fisiologici dall’esposizione ai raggi UV, nonché dalla vitamina D”. Tali benefici superano chiaramente quelli derivanti dall’assunzione di integratori di vitamina D: quindi, evitare del tutto la luce solare comporta inutili rischi per la salute, ha sottolineato l’autrice. Inoltre, i ricercatori sostengono che, in particolare, i pazienti con molte patologie cutanee, come la dermatite seborroica e la psoriasi, traggono immediatamente beneficio dall’elioterapia (ma questo noi poveri dermatologi europei lo sappiamo da decenni). Va precisato che questo articolo si focalizzava principalmente su “assunzione di integratori di vitamina D vs esposizione solare” e non sui danni fotoindotti sulla cute. Comunque sia, è una ulteriore conferma che in medicina gli eccessi estremi non sempre sono utili e tutto va interpretato con moderazione e flessibilità. Bentornata tintarella!
Enzo Berardesca