Nella terza giornata di lavori dell’International Congress of Dermatology-ICD, che si è svolto a Roma dal 18 al 21 giugno, una sessione ha focalizzato l’attenzione sulle condizioni immunomediate, psoriasi in primis, con la presentazione di una serie di studi che hanno evidenziato l’efficacia e la sicurezza di nuovi farmaci mirati.
Le malattie immunomediate
Le malattie immunomediate sono un gruppo di patologie di cui non si conosce esattamente la causa ma in cui si ravvisa un mix di fattori genetici, ambientali e immunitari.
In ambito dermatologico, le più comuni patologie immunomediate sono la dermatite atopica, la psoriasi, l’idrosadenite suppurativa, l’alopecia areata e le malattie bollose autoimmuni.
Si tratta di patologie che possono avere manifestazioni lievi, moderate o gravi, spesso associate ad altre comorbidità. Malattie che causano, nei soggetti colpiti, stigma e problemi psicologici andando ad impattare in modo significativo sulla qualità della vita.
Grazie alla scoperta di nuovi farmaci, viene oggi garantita efficacia e sicurezza con risultati protratti nel tempo.
Le condizioni immunomediate sono state al centro di una specifica sessione organizzata nella terza giornata di lavori del Congresso Internazionale di Dermatologia-ICD, nel corso della quale sono stati presentati numerosi studi incentrati in particolare sulla psoriasi, che hanno evidenziato la sicurezza e l’efficacia di nuovi farmaci mirati.
Novità nel trattamento di psoriasi e artrite psoriasica
La psoriasi è stata la patologia dermatologica più trattata nel corso della sessione, in cui un numero significativo di relazioni si è focalizzato sull’efficacia e la sicurezza del bimekizumab, un farmaco immunosoppressore usato in diverse malattie infiammatorie, tra cui la psoriasi a placche, l’artrite psoriasica, l’idrosadenite suppurativa.
Si tratta di un anticorpo monoclonale che blocca l’azione di due citochine, l’IL-17A e l’IL-17F, che svolgono un ruolo chiave nei processi infiammatori.
A questo riguardo, Annunziata Dattola, co-moderatrice della sessione e segretario generale dell’ICD ha aperto i lavori presentando una relazione sull’efficacia del bimekizumab nella psoriasi e nell’artrite psoriasica, con miglioramenti protratti fino a due anni in pazienti con artrite psoriasica e fino ad 1 anno in caso di psoriasi cutanea concomitante, con un profilo di sicurezza elevato ed eventi avversi di tipo lieve-moderato.
Un’altra relazione ha inteso verificare gli effetti della ripresa del trattamento a seguito di un prolungato periodo di sospensione. La ricerca, condotta su un campione di 125 pazienti con psoriasi statunitensi e canadesi, ha mostrato che dopo 6 mesi di interruzione circa un terzo del campione aveva mantenuto un PASI (Psoriasis Area and Severity Index) inferiore o uguale a 2 e un IGA (Investigator’s Global Assessment) pari a 0 o 1.
Altresì, alla ripresa del trattamento con bimekizumab la maggioranza dei pazienti era tornata ai risultati raggiunti in precedenza mantenendoli per un periodo di follow-up di 48 settimane.
Paolo Gisondi, docente all’Università di Verona, ha presentato due studi. Il primo ha analizzato le risposte di bimekizumab in pazienti con psoriasi a rischio di sviluppare artrite psoriasica, una evenienza questa che interessa circa un terzo dei pazienti con psoriasi, e mostrando come un’identificazione precoce dei fattori di rischio (una psoriasi di grado moderato-severo, un elevato BMI, il coinvolgimento di unghie e cuoio capelluto) e il trattamento con bimekizumab possano in molti casi prevenire la progressione e, quindi, lo sviluppo di artrite psoriasica.
Il secondo studio si è, invece, focalizzato sulla sicurezza del trattamento a lungo termine, dimostrata fino a 4 anni in pazienti con psoriasi a placche da moderata a severa.
Alcuni studi hanno focalizzato l’attenzione sugli effetti del farmaco in un contesto real world, per sua natura più eterogeneo rispetto ai trial clinici randomizzati e controllati. Ne è un esempio uno studio che ha preso in esame 43 pazienti con psoriasi a placche di grado moderato-severo, trattati con bimekizumab, con un follow-up di 52 settimane e controlli periodici a 16, 36 e 52 settimane.
Le altre patologie affrontate
Numerosi altri interessanti studi sono stati presentati nel corso di una sessione davvero molto densa, a partire da quelli relativi ad altre forme di psoriasi, come la psoriasi palmo-plantare o la “napkin psoriasis”, cioè la psoriasi da pannolino.
Riguardo al primo caso, uno studio pilota ha indagato l’efficacia e la sicurezza di tofacitinib in pazienti resistenti al trattamento; rispetto alla psoriasi da pannolino, uno studio retrospettivo ha cercato di verificare il rischio di sviluppare psoriasi in età adulta in bambini con ‘napkin psoriasis’ nei primi due anni di vita.
Ancora, uno studio pilota real-life ha affrontato il problema della ‘de-escalation’ della dose in pazienti con psoriasi confrontando risankizumab e guselkumab mentre una ulteriore ricerca si è concentrata sugli effetti dello stress sui meccanismi infiammatori alla base della malattia.
Uno studio retrospettivo condotto in Cina si è concentrato sui fattori prognostici del pemfigoide bolloso, la cui incidenza nel Paese asiatico è aumentata significativamente tra il 2013 e il 2024.
Un altro studio si è concentrato sull’efficacia del dupilumab in pazienti con dermatite atopica, mostrando dati a due anni di uno studio osservazionale su un campione italiano.
Un terzo studio ha affrontato l’uso off-label del ruxolitinib topico nei problemi cutanei granulomatosi, lichenoidi o pruritici, problemi dei capelli, problemi cutanei autoimmuni, evidenziando la sua diversa efficacia: pressoché assente nell’alopecia areata a causa di una scarsa penetrazione nei follicoli del capello; particolarmente utile nel lichen planus sia cutaneo che orale e nei problemi cutanei granulomatosi causati da una disregolazione delle citochine JAK-STAT.