Etica e appropriatezza

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Durante l’ultimo congresso della Società Europea di Dermatologia (EADV) svoltosi a settembre a Ginevra sono stati presentati, come sempre in questa tipologia di congressi, nuovi studi su diversi farmaci biologici per la terapia sia della psoriasi che della dermatite atopica, del melanoma e altri tumori cutanei. Naturalmente tutti questi nuovi farmaci sono molto costosi e la loro prescrizione sarà limitata solo a determinati centri autorizzati. Questo potrebbe limitarne in parte l’accessibilità perché non sempre è facile per il paziente spostarsi lontano da casa, magari fuori regione, per poter accedere alle cure; del resto, visto l’elevato costo di queste terapie ci deve essere una prescrizione “ragionata” e suggerita solo nei casi di effettiva necessità e impossibilità ad avere adeguati risultati terapeutici con rimedi meno complessi.

Al contrario, una interessante lettura tenuta da un collega dell’Erasmus Medical Center di Rotterdam ha fatto emergere alcune tematiche attuali con risvolti etici importanti per il nostro settore che vale la pena di approfondire. Il primo riguarda la decisione terapeutica che prendiamo quando ci troviamo a consigliare al nostro paziente la migliore terapia. Potrebbe, infatti, succedere che vengano proposte terapie complesse e costose quando invece basta un intervento più semplice: il caso più facilmente ipotizzabile è quello di proporre per un basalioma primario di piccole dimensioni una chirurgia Mohs quando potrebbe bastare una semplice escissione chirurgica normale o addirittura una crioterapia. In effetti la microchirurgia Mohs è molto più costosa e “time-consuming” rispetto alla chirurgia tradizionale ma più redditizia per il medico: lo stesso paziente a fronte della diagnosi di un tumore della cute potrebbe tendere a preferire quel tipo di trattamento ritenendolo più radicale e quindi con maggiori possibilità di successo definitivo. L’American Academy of Dermatology a questo proposito ha redatto delle linee guida ben precise, sconsigliando l’utilizzo di terapie o procedure più costose laddove non necessario.

Ma non siamo solo noi medici a commettere questi errori: le case farmaceutiche, infatti, spesso “rinfrescano” un farmaco o un prodotto vicino alla scadenza di brevetto cambiando lievemente la composizione o estendendo le indicazioni a qualche nicchia di mercato o malattia orfana, aumentando nel contempo notevolmente il prezzo. Sta a noi proporre il consiglio corretto, come nel caso della scelta tra farmaco generico e brandizzato. Questo fa salire immancabilmente i costi di gestione di una determinata patologia e ci fa capire come in questi tempi, con scarse risorse di budget, gli ospedali comperino ormai solo prodotti generici o similari per cercare di contenere una spesa sanitaria sempre più crescente (ma con sempre meno fondi a disposizione da parte del governo). Nell’ultimo aggiornamento del DEF (fine settembre 2017) la spesa sanitaria si è attestata al 6,6% del PIL e si prevede arriverà al 6,3% del PIL nel 2020, ben al di sotto della fatidica soglia di allarme del 6,5% sotto la quale, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, oltre la qualità dell’assistenza e l’accesso alle cure, si riduce anche l’aspettativa di vita delle persone.

È solo con il comportamento eticamente corretto di operatori sanitari e industrie che realmente si possono contenere i costi e offrire un servizio serio, personalizzato e sostenibile nel futuro.